martedì 26 dicembre 2006

In viaggio con Evie

Provaci ancora, Ron(f)

E Pippo. E il principe azzurro. E Obelix. E l'onorevole Bondi. Quando sei una “spalla” non hai nemmeno il privilegio di un nome proprio: la congiunzione ti precede sempre. Per il fulvicrinito Rupert Grint – il celeberrimo Ron Weasley di Harry Potter – deve essere stata una ghiotta occasione. Un film da protagonista per uscire dall'ombra del maghetto con gli occhiali. Hermione guardami, ci sono anch'io.

“In viaggio con Evie” è il tipico romanzo di formazione, al centro del quale figura il timido quasi-diciottenne Ben, figlio unico di un pastore anglicano e di una madre bacchettona che predica bene e razzola un po' peggio. Animo poetico, sguardo spiritato, il ragazzo si trova a fare da assistente a un'anziana attrice shakespeariana beona e scurrile, che lo costringe ad accompagnarla in un tragicomico viaggio fino a Edimburgo. In Scozia Ben scoprirà l'amore fisico e il piacere di decidere con la sua testa.

La pellicola scorre leggera e british, un po' troppo garbata, senza mai risolvere davvero i climax che accumula. Si capisce come il regista Jeremy Brock abbia compiuto un viaggio a ritroso nella sua biografia e all'ultimo momento abbia perso il coraggio di infierire. In più, come chiarisce il titolo italiano, la vera protagonista del film è Julie Walters, una “Evie” tanto antipatica e debordante quanto irresistibile.

Grint non fa una malvagia figura, ma a tratti lo si dimenticherebbe, se fosse possibile ignorare il semaforo rosso che si porta in testa. Hermione, insomma, sarà per un'altra volta.

domenica 10 dicembre 2006

Anplagghed, al cinema

Tutto il resto è video

E' inutile scandalizzarsi e atteggiarsi a puristi. Se “Anplagghed” è primo nella classifica dei film di dicembre una ragione ci sarà. E' evidente che la riproposizione su pellicola dell'ultimo spettacolo di Aldo, Giovanni e Giacomo non è “cinema” come lo intendono i critici.

Non c'è storia, regia, montaggio: solo un'accozzaglia di sketch teatrali mediamente divertenti, talvolta esilaranti, spesso meno. Ma cosa definisce l'esperienza cinematografica? In un mondo in cui il “cinema” viene visionato sui cellulari, sugli Ipod, sui computer, nella lavatrice, insomma in qualsiasi luogo purché non sia una sala buia insieme ad altre persone, vale la pena ricordare che l'essenza del “cinema” in realtà è proprio questa: una trance collettiva indotta dalla visione di immagini a 24 fotogrammi al secondo, all'interno di un luogo buio a ciò esclusivamente deputato.

Il resto – le teorie, gli attori, le follie dei registi – sono contingenze, destinate a svanire nel nulla. Quando decine di persone condividono la stessa emozione di fronte a uno schermo illuminato, tutte insieme e ognuna per conto proprio, quello è “cinema”, perché il cinema è della gente. E non importa se proietti la settimana Incom, Fellini, Jerry Lewis o Aldo, Giovanni e Giacomo. Finché c'è gente al cinema, il cinema esisterà. Tutto il resto è video.

domenica 3 dicembre 2006

Marie Antoinette

Sofia o Antonietta?

Maria Antonietta, la moglie di Luigi XVI, era finora nota ai più per l'immortale frase “Il popolo ha fame e non c'è più pane? Dategli delle brioches”. Un'ingiustizia storica per Sofia Coppola, che ci mostra invece la vicenda di una quindicenne sola, scaraventata al fianco di un salame di marito. Costretta a rifugiarsi (poverina) tra balli sfarzosi, vestiti, diamanti e collezioni di cani finirà ghigliottinata.

Come film storico, Marie Antoinette trascura forse un po' troppo la Storia. La ricostruzione della Versailles del '700 è deliziosa, e l'idea di associare i costumi d'epoca alla musica rock, per quanto non nuova, funziona. Kirsten Dunst (la fidanzatina di Spiderman) è bravissima e il suo viso senza età le consente di essere credibile sia come quattordicenne che come trentenne. Ma l'imminente rivolta che cambierà la Francia e il mondo intero è appena accennata, e l'idea di far passare Maria Antonietta come un giglio travolto dagli eventi è bizzarra. È vero che lasciò l'Austria giovanissima per sposarsi, ma a quei tempi era abbastanza normale. E quando salì sul patibolo l'età dell'innocenza era finita da un pezzo. Un film discreto, insomma, da non perderci la testa.

domenica 26 novembre 2006

La mia super ex-ragazza

La vendetta di Uma

Non vorrei sembrare il Noam Chomsky dei poveri, ma ho sempre pensato che la subcultura dei supereroi rappresentasse una metafora della politica estera americana. Vorrà anche salvare il mondo, ma di fronte a un semidio onnipotente che può incenerirti con lo sguardo non sai mai cosa possa capitarti ed è meglio non trovarsi dalla parte dei nemici, neanche per sbaglio. Il che è esattamente quello che succede a Matt Sanders (Luke Wilson, I Tenenbaum).

Dopo aver sedotto la timida bibliotecaria Jenny (Uma Thurman) scopre che non solo si tratta della supereroina G-Girl, ma che la ragazza è anche supernevrotica, superinsicura e superappiccicosa. Quindi la scarica. La vendetta è altrettanto super: la macchina del poveretto finisce in orbita, il suo appartamento a pezzi e come regalo d'addio gli viene recapitato uno squalo vivo in camera da letto. “La mia super ex ragazza” ha un regista che la sa lunga in fatto di commedie come Ivan Reitman (Ghostbusters) e uno sceneggiatore politicamente scorretto come Don Payne (I Simpson), oltre a un cast di successo che include anche la reginetta delle pellicole demenziali Anna Faris (Scary Movie).

A uno spunto iniziale molto divertente segue uno svolgimento un po' a grana grossa, e il finale è deboluccio. Però si ride, soprattutto grazie a Luke Wilson, che sfoggia un aplomb alla Cary Grant davvero sorprendente.

domenica 19 novembre 2006

Aspiranti registi cercasi

Quando si dice la sincronicità dell'universo. Non faccio tempo a scrivere che la qualità dei video forlivesi sul web è mediamente bassa che subito l'università propone un corso e un laboratorio gratuiti per giovani da 17 a 35 anni: il primo per formare gli aspiranti filmaker del terzo millennio, il secondo per realizzare una serie di cortometraggi. Il corso per registi avrà una durata complessiva di 70 ore suddivise in una fase teorica – storia e linguaggio del cinema – e una pratica – scrittura, pre-produzione, produzione (riprese) e post-produzione (montaggio) di un audio-visivo. Le lezioni si terranno tutti i venerdì pomeriggio dalle 16.30 alle 19.30 a partire dal primo dicembre presso l’aula anfiteatro della sede universitaria di via Pratella. Il laboratorio permanente di produzione audiovisiva coinvolgerà invece ragazzi e studenti universitari dai 17 ai 35 anni nella realizzazione di brevi cortometraggi della durata di 3-5 minuti. L’intenzione è quella di selezionare un gruppo di lavoro di tre o quattro persone che apprenderà nell’arco dei mesi tutte le conoscenze utili alla realizzazione di un audio-visivo e che collaborerà con il regista Alessandro Quadretti seguendo il processo produttivo in tutte le sue fasi, inclusa quella del casting degli aspiranti attori che si terrà il 2 dicembre al Teatro Il Piccolo. Per informazioni e iscrizioni: segreteria di Presidenza del Polo scienfico-didattico di Forlì, via Volturno n. 7, tel. 0543-374328, www.poloforli.unibo.it

domenica 12 novembre 2006

Cosa danno sul tostapane?

La fruizione del prodotto artistico che chiamiamo “cinema” si sta spostando inesorabilmente fuori dal luogo fisico che identifichiamo come tale. L’aspetto rilevante non riguarda tanto la mutazione del mezzo di riferimento, visto che i film si vedono in TV dagli anni Cinquanta.

Se c’è qualcuno che è così masochista da guardarsi un lungometraggio sul telefonino o sul tostapane, insomma, sono fatti suoi. La vera rivoluzione è un’altra, e concerne la democratizzazione di un mezzo che finora è stato per forza di cose elitario.

Basti pensare a fenomeni come Youtube e Google Video, che potenzialmente consentono a chiunque di rendere disponibili al pubblico globale i propri film, con la stessa dignità e rilevanza di qualsiasi altro tipo di contenuto. Per ora, in realtà, più che altro si gozzoviglia. Inserendo la parola chiave “Forlì” (la città in cui vivo) in tali siti, ad esempio, ho potuto ammirare diversi episodi di goliardia psicotica, variopinta propaganda, un razzo alimentato a caramelle e le istruzioni di un paio di concittadini per creare una sorta di bombetta molotov all’acido, con tanto di disclaimer “don’t try this at home”.

Un livello così basso mi tranquillizza. La diffusione ad ampio raggio di una tecnologia, infatti, di solito genera l’aumento spropositato dei produttori di contenuti “artistici” a scapito del numero dei potenziali destinatari. Conoscete qualcuno che potendo vantare un pollice opponibile non abbia ancora partorito un romanzo, un atto teatrale, un musical, una canzone, un quadro, una scultura? Vi prego di presentarmi questo genio raro. Tutti artisti, niente arte. Tutti registi, niente cinema.

domenica 5 novembre 2006

Scoop

Il fantasma di Woody

Sondra Pransky è una studentessa di giornalismo americana in visita a Londra. Una sera, partecipando allo spettacolo del Mago Splendini (alias Sid Waterman, un prestigiatore di terza categoria), alla ragazza appare il fantasma di Joe Strombel, un giornalista defunto che è fuggito dalla barca di Caronte per annunciare una notizia sensazionale: il famoso killer dei tarocchi è in realtà l’aristocratico Peter Layman.

E’ questo lo “Scoop” di cui parla il titolo del nuovo parto di Woody Allen, che a settant’anni e passa continua a sfornare pellicole di un certo successo, complice la capacità di assemblare attorno a sé cast di grido a basso costo.

Questa volta i nomi “in” includono Scarlett Johansonn e Hugh Jackman, oltre ad Allen medesimo, ma il risultato non è dei più brillanti: Scoop è una farsa a tratti gradevole ma priva di mordente, in cui il compiacimento per le atmosfere british e l’amore per i film d'annata non riescono mai a far decollare l’attenzione degli spettatori al di là della cortesia che si deve a un vecchio maestro. La trama traballa e, quel che è peggio, latitano le battute che hanno reso famoso il regista. Non importa, "Match Point" non è lontano. Provaci ancora, Woody.

domenica 29 ottobre 2006

A scanner darkly

Sguardi acidi

La vita di Philip K.Dick, lo scrittore di culto dalle cui opere sono stati tratti film come Blade Runner e Paycheck, fu profondamente segnata dalle droghe e dalla dissociazione mentale.

"A Scanner Darkly – Un oscuro scrutare", scritto nel 1977, è a suo modo tanto il diario degli effetti della dipendenza da LSD dell'autore statunitense, quanto il testamento del movimento lisergico che tracciò un solco nella cultura pop a cavallo degli anni Sessanta.

Nel romanzo, l’ultimo scritto prima della cosiddetta trilogia mistica, Dick racconta gli effetti della misteriosa e potentissima sostanza “M” (come la morte) sulla psiche di Bob Arctor, un poliziotto infiltrato in una banda di spacciatori.

Per restituirci la sensazione di vivere nel futuro senza ricorrere ad effetti speciali il regista Richard Linklater ha utilizzato nuovamente la tecnica del “rotoscoping” (già sperimentata nel 2001 in “Waking Life”) trasformando le riprese dal vivo di attori come Keanu Reeves, Woody Harrelson e Wynona Ryder in cartoni animati dall’aspetto vagamente bakshiano. Su tutti svetta un personaggio che con la droga ha davvero convissuto pericolosamente: Robert Downey Jr, in una delle migliori interpretazioni della sua carriera.

Il colpo di genio di Linklater è quello di non tradire Dick come i suoi predecessori e di proporre in primo piano la riflessione sull’identità e il controllo sociale che in altri casi – vedi Minority Report – si è dovuta inchinare a una spettacolarizzazione hollywoodiana dal gusto ben più acido.

sabato 21 ottobre 2006

Il Diavolo veste Prada

The city, senza il Sex

Andy Sachs è la tipica ragazza della provincia americana: carina, intelligente, caparbia, e non sa assolutamente nulla di moda. Giunta a New York per inseguire il suo sogno di diventare giornalista finisce a fare l’assistente della potente e insopportabile direttrice di Runway, la bibbia del fashion system. Perderà la sua innocenza?

Se voleva essere un film sul mondo che gira attorno agli stilisti “Il Diavolo veste Prada” trascura tre elementi fondamentali: il sesso, la droga e i disturbi alimentari, che evidentemente al giorno d’oggi sono più “cool” del rock and roll. Se voleva essere un film su quanto può essere infame un capoufficio, invece, qualsiasi impiegato di banca può raccontare esperienze assai più allucinanti.

Togliete anche la meravigliosa voce originale di Meryl Streep, che nella versione originale è liquida come la panna acida, e vi rimarrà una commedia leggera, innocua e un po’ moralista, su quanto sia importante essere se stessi in ogni situazione.

Non ho letto il libro di Lauren Weisberger da cui è tratta la pellicola, per cui non posso fare confronti. Sicuramente posso consigliare il film alle irriducibili di Sex and the City, in cui ha lungamente lavorato il regista, David Frankel.

domenica 10 settembre 2006

Superman returns

Supermanfrina

Esiste un supereroe intrinsecamente più noioso di Superman? E’ invincibile, indistruttibile, immarcescibile. Ancor prima di cominciare sai già che ce la farà. C’è da demolire un asteroide in volo? C’è Superman. Bisogna fermare un aereo con una mano? Arriva Superman. Problemi con gli scarichi del bagno? Insomma, è praticamente impossibile scrivere una sceneggiatura decente per Superman, perché non c’è nessun nemico che gli tenga testa.

Il film originale del 1978? Richard Donner poteva contare su effetti speciali da Oscar e un cast magniloquente che includeva, oltre allo sfortunato Christopher Reeve, niente meno che Marlon Brando, Glenn Ford e Gene Hackman. E la storia, scusate se è poco, era di Mario Puzo, l’autore del Padrino. A Brian Synger, che pure è uno dei miei registi preferiti, hanno dato gli scrittori di Urban Legends 3, e potete immaginare la differenza.

L’autore degli Insoliti sospetti gioca tutte le sue carte per restituire un minimo di tridimensionalità a un personaggio sottile come la carta da fumetti, ma la storia è (molto) meno veloce della luce e non bastano gli effetti speciali “da paura” a tenere desta l’attenzione per due ore e mezza. In breve: Superman torna dopo cinque anni di assenza per scoprire che Lois Lane ha avuto un figlio e lo odia; seguono crisi esistenziale e losco piano di Lex Luthor/Kevin Spacey per dominare il mercato immobiliare uccidendo miliardi di persone (sic!). Alla fine si parteggia apertamente per il cattivo: o che faccia fuori Superman, o che faccia fuori l’umanità, potremmo almeno risparmiarci l'inevitabile seguito.

domenica 27 agosto 2006

Slevin, patto criminale

Sulle tracce di Sex Crimes

Slevin (Josh Hartnett) è un ragazzo molto sfortunato. Nello stesso giorno perde il lavoro, la casa, la ragazza, il portafogli, e viene scambiato per l’amico scomparso dagli scagnozzi di due diversi gangster a cui deve un sacco di soldi: il Boss (Morgan Freeman) e il Rabbino (Ben Kingsley), loschi figuri che si guardano in cagnesco dalle rispettive roccaforti dopo una vita trascorsa a combinare affari sporchi.

Nel frattempo un truce killer di nome Goodkat (Bruce Willis) è al lavoro, mentre la ragazza della porta accanto (una insolita Lucy Liu) e il poliziotto tutto d’un pezzo (Stanley Tucci) indagano sulla vicenda. Ma è davvero solo sfortuna, quella di Slevin?

Si è parlato di Quentin Tarantino come ispiratore di questo film estivo firmato dal regista scozzese Paul McGuigan (The Acid House, Appuntamento a Wicker Park). Ma, francamente, a parte il gangsterismo da garzantina e la violenza gratuita sparsa a piene mani, l’autore di Kill Bill c’entra poco. Nonostante il cast stellare, Slevin – Patto criminale mi ha ricordato, piuttosto, un thriller di serie B del 1998: “Sex Crimes – Giochi pericolosi”. Stesso procedimento induttivo nella stesura della sceneggiatura (da un finale “shock” a un plot barcollante e autoreferenziale). Stessa disonestà complessiva nei confronti dello spettatore, che non può distinguere tra flashback “veri” e inventati. Stesso incomprensibile entusiasmo del pubblico adolescente. Con una differenza: se non capite dopo cinque minuti dall’inizio del film qual è la vera trama di Slevin, tanto vale che continuiate a dormire.

domenica 20 agosto 2006


Luigi, stella italiana
Una Fiat 500 tra i protagonisti del nuovo film Disney/Pixar

Nel settembre del 1948, sul finire della “Golden Age” della radio americana, la CBS cominciò a trasmettere “Life with Luigi”, una commedia che per gli standard odierni non potrebbe essere considerata men che politicamente scorretta. Il protagonista era un immigrato italiano a Chicago che ogni settimana, con il suo inglese sgrammaticato e infarcito di “Mamma mia”, affrontava gli imprevisti dell’immigrazione in un Paese tanto lontano e diverso dal suo. Razzismo mascherato?

Effettivamente la Italian Antidefamation League tentò a più riprese di impedirne la messa in onda. Eppure la “vita con Luigi” deve essere rimasta ben radicata nella cultura popolare americana, se la Fiat 500 ferrarista di “Cars”, il nuovo film di animazione Disney/Pixar, porta proprio quel nome e parla (nella versione originale, in italiano è doppiata da Marco Della Noce) come il poco conosciuto antenato.

Luigi Basco faceva ridere per il suo accento
, ma la via che gli veniva tracciata di fronte era lastricata di valori che poteva abbracciare senza abbandonare i propri tratti distintivi. Agli immigrati che vivono in Italia oggi quali modelli di riscatto, quali proposte di integrazione stiamo proponendo, anche attraverso i media? Mi vengono in mente solo ballerini e protagonisti di reality show.

lunedì 12 giugno 2006

Amori mondiali

Quattro appuntamenti con il dramma sentimentale

Capisci che l’Italia sta cambiando quando i massimi e indiscussi esperti sportivi del Paese (il tuo barbiere e il tuo edicolante) ti confessano che – causa disillusione da scandalo arbitri – non riusciranno a seguire i mondiali con lo spirito di un tempo. “Al massimo le partite della nazionale, e forse nemmeno quelle”, sospirano tra i singhiozzi. Alla loro passione tradita si potrebbe dedicare la bella rassegna “Amori mondiali” organizzata per quattro mercoledì alla Sala del Foro Boario dalle ragazze del cineclub Forcine, al motto di “mi sono tanto divertita; ho pianto tanto”. Si parte il 14 giugno con un classico del fazzoletto, “La voce nella tempesta”, del 1939. Ispirato al romanzo “Cime tempestose” di Emily Bronte rimane nella storia del cinema per il cast d’eccezione (Laurence Olivier su tutti) e in quella del doppiaggio tricolore per il mitico birignao di Lia Orlandini che chiama Heathcliff nella tempesta. Il 21 giugno scende in campo per l’Italia un altro campione della congestione nasale: “Senso” (1954) di Luchino Visconti, interpretato da una splendida Alida Valli. Il 28 giugno si spreme qualche lacrimuccia intellettuale con “Io e Annie”, manifesto alleniano dell’incomunicabilità di coppia. Si chiude in tristezza il 5 luglio con “La signora della porta accanto”, dramma dell’amor fou firmato da Francois Truffaut in cui ripensando alle proprie storie passate tutti piangono, donne e uomini, pur se per motivi assai diversi. Ingresso riservato ai soci ForCine (tessera 3 euro). Per info: tel: 349/3937087 info@forcine.net.

domenica 4 giugno 2006

Cappuccetto rosso e gli insoliti sospetti

Signori, i bambini son tornati. E non sto parlando di quelli finti della televisione, nossignori. Sono quelli veri, col moccio al naso e le croste alle ginocchia, perenni come le nevi del Cervino.

Basta guardarsi intorno al parco, la domenica, per capire che la generazione degli anni ’70 ha cominciato a far figli. Sono dappertutto. Persino al cinema, a guardare i cartoni animati, un genere che sembrava destinato a diventare esclusiva di coppiette e scoppiati in fase regressiva.

Ma i bambini questo non lo sanno: persino una evidente parodia come “Cappuccetto rosso e gli insoliti sospetti”, ispirato al film-cult di Bryan Singer, diventa l’occasione per divertirsi in allegria.

Il cinefilo basisce, perché i bambini non colgono il raffinato moltiplicarsi delle angolazioni del racconto, né si curano del fatto che l’ironia dietro alcune situazioni sia in effetti un po’ logora.

I bambini non sanno che questo è il primo film prodotto dai fratelli Weinstein dopo l'uscita dalla Miramax, e non comparano nemmeno la qualità dell’animazione rispetto a un altro classico della parodia come Shrek.

Ridono della capra canterina e basta, mentre i padri e le madri, distrutti, dormono e lasciano al pubblico pagante il discutibile piacere di educare la prole altrui a non piantare i cari piedini nella schiena del vicino. Insomma, mai visti tanti bambini a vedere un film per bambini. Era ora, lasciatemelo dire.

lunedì 29 maggio 2006

X Men 3

L’universo fa dei tentativi. Alcuni possono apparire voluttuosi: labbra rosa, occhi verdi e lunghi capelli corvini. Altri delittuosi: un metro e venti di ascelle sudate. Hanno tutti la stessa dignità, perché in quella slot machine galattica che è il Dna può capitarti davvero di tutto. Una prova d’artista, quando va bene. O una scacchiera a cui manca qualche pezzo, e su cui non puoi vincere mai, quando va male.

Certo, se sei un X-Man hai sbancato. Nei tuoi geni c’è una caratteristica che ti rende speciale, come un supereroe, più o meno. Allo stesso tempo essere speciali non sempre è un bene, attira odio, paura, invidia e desiderio di potere.

La saga degli uomini mutanti creata da Stan Lee giunge al terzo episodio cinematografico sulle stesse basi dei primi due, ma senza più il regista Brian Synger, passato alla Distinta concorrenza per dirigere il ritorno di Superman.

Le minacce orchestrate dal nuovo entrato Brett Ratner (Red Dragon, Rush Hour) sono più sottili: non ci sono solo le controparti malvagie che intendono dominare il mondo, ma anche una fantomatica cura, in grado di ridonare la “normalità” ai geneticamente dotati. Gli X-Men sono belli, intelligenti, ricchi di salute e virtù, ma non sono felici, e considerano l’idea.

Certo, è un pelo più facile scegliere, e farsi paladini della diversità e della tolleranza, quando il tuo “difetto” genetico ti permette di volare, o anche solo di camminare normalmente. Pare che il professor Xavier, unico mutante in carrozzella, nel segreto dell'urna avesse scritto "Si".

domenica 21 maggio 2006

Il Codice Da Vinci

Dietro al complotto

Quando avevo sei anni, ed ero un bambino interista, quindi per definizione infelice, mia madre mi consolava dicendomi che il campionato di calcio era una gigantesca truffa: una messa in scena che serviva per impedire al cervello della gente di funzionare, e per far vendere più macchine orribili.
La cosa mi faceva infuriare: per un bambino interista di sei anni, vessato da chi nella vita ha sempre e solo vinto, non c’è niente di peggio che mettere in discussione il proprio desiderio di riscatto. Oggi che si scopre che la serie A è più o meno da sempre una pantomima, quanto il wrestling, che almeno non si nasconde dietro all’ideologia sportiva, mi tocca dirlo: mia madre aveva ragione.
Per questo non mi unisco all’accanimento generale dei critici verso il Codice Da Vinci, che da brutto libro si è trasformato in un thriller mediocre, sebbene di grandi mezzi. L’idea forte alla base del romanzo di Dan Brown – trasposto in pellicola con un cast stellare da Ron Howard - è che Gesù fosse sposato con Maria Maddalena e da lei avesse avuto una progenie. Un gigantesco complotto dell’Opus Dei avrebbe insabbiato il tutto. Sono idee scioccarelle e non nuove, già stroncate dai teologi di professione, oltre che da Umberto Eco e tanti altri studiosi laici. Eppure, se sono bastate a mettere in discussione la fede di milioni di persone, si potrebbe sospettare che anche in questa sorta di campionato il collegio arbitrale appaia ai più vetusto, stantio, di parte. E che le regole non siano uguali per tutti.

domenica 14 maggio 2006

Una top model nel mio letto

Modella di vita

Cosa si ottiene incrociando un commesso viaggiatore esibizionista con una meretrice ninfomane? Una top model, ovvero un essere il cui unico scopo è quello di farsi possedere (visivamente) dal maggior numero di persone, al fine di vendere una merce.

E invece di eccepire sulla prestazione, invero un po' scarsina, tutti giù ad adorarla, in una dimensione estetica ed erotica da preadolescenti in crisi ormonale. Come cantava il Lorenzo di Corrado Guzzanti: “Tu non sei una donna, sei de più, sei ‘na modella”.

Ma c’è anche chi, a questi esseri irraggiungibili non pensa proprio. Come Francois Pignon, il protagonista di “Una top model nel mio letto”, che si preoccupa piuttosto di non essere ricambiato dalla bella libraia Emilie (Virginie Ledoyen), di avere un lavoro migliore di quello da parcheggiatore e di non dover condividere più l’appartamento con l’amico Richard.

Va decisamente meglio al miliardario Pierre Levasseure (Daniel Auteil), che da due anni tradisce la moglie con Elena, famosa mannequin d’alto bordo. Di fronte a una foto compromettente, che svela la tresca, i destini dei due uomini si incrociano. Al parcheggiatore, ritratto per sbaglio accanto alla modella, viene chiesto di fingere di esserne il fidanzato e ospitarla a casa propria. Ne nascono, ovviamente, equivoci su equivoci.

Francis Veber, il regista di “La cena dei cretini”, non si smentisce: ancora una volta il tema principale è quello del gioco degli opposti in uno spazio condiviso per forza, e ancora una volta i personaggi più umili sono rappresentati, nella commedia umana, come i meno infelici. Si ride garbatamente, senza inutili volgarità.

barcamp Romagna