domenica 27 novembre 2005

Chicken Little

Attenzione, c’è un virus dilagante che sta colpendo l’Italia intera. Prende alla testa, specialmente in alta quota, e produce la cosiddetta “influenza comunicativa”. Si manifesta con giramenti del capo, carenza di fosforo, alterazione sistematica della realtà e affermazioni compulsive del tipo: “Siamo stati bravissimi, ma non siamo stati capaci di comunicarlo”. Il temibile bacillo recentemente ha colpito anche il presidente del Consiglio. Con un’influenza così in giro l’aviaria dovrebbe fare meno paura del raffreddore, ma questo è un Paese strano, in cui le malattie a volte hanno decorsi imprevedibili, specie sui giornali e in televisione.

Se gli italiani ormai non mangiano più pollo, speriamo almeno che non rinuncino a “Chicken Little – Amici per le penne”, il film che la Disney dedica a un mondo, quello dei volatili da cortile, che tanti personaggi ha prestato al cinema di animazione e non solo. E’ la prima pellicola computerizzata girata senza l’ausilio della Pixar di Steve Jobs, e la differenza a livello grafico e tecnologico si avverte. La critica però ha apprezzato la storia divertente, garbata, ricca di rimandi al mondo della fantascienza anni ’50. Da parte mia non posso non notare un prestito narrativo da Uderzo&Goscinny – Chicken Little, come i Galli di Asterix, ha paura che “il cielo gli cada sulla testa” - e un omaggio divertito ai personaggi che animarono le storie di Paperino degli anni ’30, con uno splendido Aldo Cotechino nella parte che fu di Meo Porcello.

domenica 13 novembre 2005

In her shoes - Se fossi lei

C’è un luogo comune, particolarmente duro a morire, secondo cui l’amicizia tra donne è impraticabile. Certo, quel misto di affetto e invidia latente, supporto e piccole perfidie è ben più complesso del tipico rapporto di cameratismo maschile. Ma non per questo è meno forte: lo si potrebbe chiamare “sorellanza” se il termine non evocasse un’entità vagamente paranormale.

Nei suoi romanzi “Brava a letto” e “A letto con Maggie”, la scrittrice americana Jennifer Weiner ha indagato questo piccolo mistero con dovizia di particolari e ironia. Nel secondo, in particolare, la Weiner ha intinto la penna nel rapporto tra due sorelle, le quali incarnano un po’ gli estremi tra cui è costretta a oscillare l’identità femminile.
Tanto una è studiosa, materna, affidabile e drammaticamente in carne quanto l’altra è statuaria, promiscua, frivola e perennemente indecisa. La sola cosa in comune? La passione per le scarpe.

Quel conflitto arriva sugli schermi cinematografici con “In her shoes - Se fossi lei”, protagoniste Cameron Diaz, mai così sexy, e Toni Collette, già vista nel minicult australiano “Le nozze di Muriel”. Maggie, la sorella più giovane e procace, vive da sempre alle spalle della maggiore Rose, avvocatessa in uno studio legale. Dopo una lite furibonda Maggie parte sulle tracce della madre, morta in giovane età, fino a scoprire una verità sconvolgente.

Curtis Hanson, regista di “L.A. Confidential” e “8 mile” adatta con grazia questa commedia dai risvolti sentimentali e romantici, sfruttando al meglio il cast al femminile, su cui svetta la settantunenne Shirley MacLaine. L’arguzia dei dialoghi e il montaggio, molto spedito per un film di questo genere, rendono piacevoli le oltre due ore di pellicola.

lunedì 7 novembre 2005

Due single a nozze

Sposarsi è un modo qualunque per sentirsi un grande imprenditore. Puoi stilare budget, chiedere preventivi, visitare fornitori e direttori di banca e, due volte al giorno firmare assegni postdatati. È romantico quanto un seminario sulla partita doppia, ma a parte questo dicono non sia così drammatico, basta avere una buona segretaria, un fisioterapista personale e un patrimonio di alcuni milioni di euro da sperperare.

Mutui ergastolari e muratori espressionisti sono nulla rispetto al giorno delle nozze: un helzapoppin in cui decine di perfetti sconosciuti si abbuffano a carico tuo, mentre tu ti domandi se sia il caso di metterli in imbarazzo, visto che hanno evidentemente sbagliato matrimonio. In cambio questi figuranti spendono cifre esorbitanti per regalarti piatti e bicchieri così costosi che sarai costretto a comprarne altri meno cari per poterci mangiare dentro.

Con queste premesse la storia di “Wedding crashers – 2 single a nozze” – non risulta poi così incredibile. John Beckwith e Jeremy Gray (Owen Wilson e Vince Vaughn) sono due avvocati divorzisti, celibi incalliti, che approfittano delle cerimonie altrui per imbucarsi e sedurre le invitate. Almeno finché non interviene l’amore vero. Divertente, ma siamo lontani dall’umorismo british di “Quattro matrimoni e un funerale”. Abbondano piuttosto nudità e situazioni corporali imbarazzanti nello stile del primo John Landis. Demenziale e un po’ iconoclasta, insomma, come ogni cerimonia che si rispetti.

venerdì 27 maggio 2005

The interpreter

Era dai tempi di “La mia Africa” che Sidney Pollack non frequentava i misteri e le malìe del continente nero. Anche “The interpreter”, il suo nuovo film, ha al centro la passione di una donna bianca per quelle terre, ma la storia è ambientata per la maggior parte nei corridoi e nelle sale del palazzo delle Nazioni Unite di New York, visto per la prima volta al cinema nei suoi interni originali.

Nel film Nicole Kidman è Silvia, bionda traduttrice con il doppio passaporto africano e statunitense, una delle poche persone al mondo a conoscere la lingua dell’immaginario staterello del Matabo. La nazione è governata dal dittatore Zuwanie, trasformatosi da benefattore a persecutore del proprio popolo. Un giorno, dalla sua cabina, Silvia ascolta per caso il piano per uccidere Zuwanie durante il discorso che dovrà tenere di fronte all’assemblea dei delegati. Da qui si dipana una storia di pericoli e minacce, sulle tracce di un passato doloroso che nemmeno l’agente dei servizi segreti mandato a sorvegliarla – interpretato dal divo del cinema “contro” americano Sean Penn – sembra in grado di poter neutralizzare.

“The interpreter” è un buon thriller politico, un po’ vecchia maniera, in cui non mancano i momenti spettacolari e i colpi di scena. Pollack – che negli anni Settanta firmò un capolavoro del genere come “I tre giorni del Condor” - è forse lontano dalla forma dei giorni migliori, ma ha il merito di ricordare al mondo occidentale che l’Onu, e non un campo di battaglia, dovrebbe essere il luogo deputato alla risoluzione delle controversie internazionali.

domenica 15 maggio 2005

Non aver paura

Uno degli spot della campagna di Bush contro Kerry che si rivelarono più efficaci mostrava un branco di lupi pronti a scagliarsi contro l’America se il candidato democratico avesse vinto. Morale della favola? La paura, e non l’amore, è il sentimento che muove il mondo, tutto sta a trovare quella giusta. Partendo da questo assunto psicologico – in verità non più così originale - il regista di Non aver paura, Angelo Longoni (Naja), ha scelto di contaminare i generi, miscelando giallo psicologico, thriller e dramma familiare.

Franco e Laura (Alessio Boni e Laura Morante, sempre bellissima) si sono separati da poco: lei ha tradito e lui non ha perdonato. La donna accusa l’ex marito di non passarle abbastanza denaro e intanto lavora in una chat line erotica. Di nascosto, perché l’uomo - ossessionato dall’idea di ottenere l’affidamento del figlio di nove anni, Luca (Andrea Ragno) – potrebbe sfruttare la cosa a suo vantaggio. Mentre odio e rancore cominciano a farsi strada anche nella mente del bambino, che ha sviluppato un amico immaginario dal carattere opposto al proprio, una misteriosa minaccia appare all’orizzonte: un cliente pedofilo che sembra conoscere molte cose della vita privata di Laura...

Preso come film di genere Non aver paura sarebbe limitato (ricorda, a tratti, certe produzioni anni ‘80) ma potrebbe funzionare, grazie alle scene inquietanti girate col piccolo protagonista e il suo gemello. Purtroppo le pretenziose suggestioni sociali sul tema del doppio pasticciano il tutto, sgonfiano il climax. Ci sono cose di cui un regista dovrebbe avere una sacrosanta paura: far la morale in modo così sfacciato, ad esempio. Nemmeno Hitchcock si è mai permesso.

sabato 7 maggio 2005

Le conseguenze dell'amore

Di solito il giudizio va al termine, ma in questo caso farò un’eccezione. «Le conseguenze dell’amore» (trionfatore agli ultimi David di Donatello) è un film strepitoso, da vedere assolutamente. Uno di quei rari lavori in cui la qualità della scrittura, l’abilità degli interpreti e la visione registica sublimano fuori dalle convenzioni, in una compiutezza che va oltre gli schemi della narrazione, specie quella televisiva.

La trama? In realtà per una pellicola come questa non ha importanza, e non farò l’errore di svelarvela: contano gli spazi, i silenzi, il non detto.

C’è uno spunto iniziale, certo: un uomo che da otto anni vive solo in un albergo in Svizzera, senza allontanarsi mai. È un esiliato? Un pazzo? Qual è il segreto inconfessabile di Titta Di Girolamo? Ogni uomo ne ha uno, o più di uno, e i suoi li vediamo rotolare fuori dalle carte da parati e geografiche, come aghi che pungono senza più ferire. Su questa intuizione noir il regista Paolo Sorrentino innesta tessuti pulsanti di thriller, azione e commedia, con uno stile molto originale, meno efferato dei modelli americani e allo stesso tempo meno consolatorio. Il controllo maniacale della fotografia, della colonna sonora e delle ambientazioni contribuiscono a trasmettere l'effetto di straniamento generale, sempre tenendo conto che anche i più arditi movimenti di macchina scompaiono di fronte all'intensità plumbea di Toni Servillo, semplicemente gigantesco.

Le “conseguenze dell’amore” del titolo sono quelle scatenate dal contatto impalpabile con una giovane donna (Olivia Magnani, nipote di Nannarella), forse il momento meno riuscito della storia, il più difficile da spiegare razionalmente. Ma quando i segreti si svelano e i giudizi morali s'invertono non importa più: restano la dissoluzione, il riscatto e un film di gran classe.

barcamp Romagna