lunedì 29 maggio 2006

X Men 3

L’universo fa dei tentativi. Alcuni possono apparire voluttuosi: labbra rosa, occhi verdi e lunghi capelli corvini. Altri delittuosi: un metro e venti di ascelle sudate. Hanno tutti la stessa dignità, perché in quella slot machine galattica che è il Dna può capitarti davvero di tutto. Una prova d’artista, quando va bene. O una scacchiera a cui manca qualche pezzo, e su cui non puoi vincere mai, quando va male.

Certo, se sei un X-Man hai sbancato. Nei tuoi geni c’è una caratteristica che ti rende speciale, come un supereroe, più o meno. Allo stesso tempo essere speciali non sempre è un bene, attira odio, paura, invidia e desiderio di potere.

La saga degli uomini mutanti creata da Stan Lee giunge al terzo episodio cinematografico sulle stesse basi dei primi due, ma senza più il regista Brian Synger, passato alla Distinta concorrenza per dirigere il ritorno di Superman.

Le minacce orchestrate dal nuovo entrato Brett Ratner (Red Dragon, Rush Hour) sono più sottili: non ci sono solo le controparti malvagie che intendono dominare il mondo, ma anche una fantomatica cura, in grado di ridonare la “normalità” ai geneticamente dotati. Gli X-Men sono belli, intelligenti, ricchi di salute e virtù, ma non sono felici, e considerano l’idea.

Certo, è un pelo più facile scegliere, e farsi paladini della diversità e della tolleranza, quando il tuo “difetto” genetico ti permette di volare, o anche solo di camminare normalmente. Pare che il professor Xavier, unico mutante in carrozzella, nel segreto dell'urna avesse scritto "Si".

domenica 21 maggio 2006

Il Codice Da Vinci

Dietro al complotto

Quando avevo sei anni, ed ero un bambino interista, quindi per definizione infelice, mia madre mi consolava dicendomi che il campionato di calcio era una gigantesca truffa: una messa in scena che serviva per impedire al cervello della gente di funzionare, e per far vendere più macchine orribili.
La cosa mi faceva infuriare: per un bambino interista di sei anni, vessato da chi nella vita ha sempre e solo vinto, non c’è niente di peggio che mettere in discussione il proprio desiderio di riscatto. Oggi che si scopre che la serie A è più o meno da sempre una pantomima, quanto il wrestling, che almeno non si nasconde dietro all’ideologia sportiva, mi tocca dirlo: mia madre aveva ragione.
Per questo non mi unisco all’accanimento generale dei critici verso il Codice Da Vinci, che da brutto libro si è trasformato in un thriller mediocre, sebbene di grandi mezzi. L’idea forte alla base del romanzo di Dan Brown – trasposto in pellicola con un cast stellare da Ron Howard - è che Gesù fosse sposato con Maria Maddalena e da lei avesse avuto una progenie. Un gigantesco complotto dell’Opus Dei avrebbe insabbiato il tutto. Sono idee scioccarelle e non nuove, già stroncate dai teologi di professione, oltre che da Umberto Eco e tanti altri studiosi laici. Eppure, se sono bastate a mettere in discussione la fede di milioni di persone, si potrebbe sospettare che anche in questa sorta di campionato il collegio arbitrale appaia ai più vetusto, stantio, di parte. E che le regole non siano uguali per tutti.

domenica 14 maggio 2006

Una top model nel mio letto

Modella di vita

Cosa si ottiene incrociando un commesso viaggiatore esibizionista con una meretrice ninfomane? Una top model, ovvero un essere il cui unico scopo è quello di farsi possedere (visivamente) dal maggior numero di persone, al fine di vendere una merce.

E invece di eccepire sulla prestazione, invero un po' scarsina, tutti giù ad adorarla, in una dimensione estetica ed erotica da preadolescenti in crisi ormonale. Come cantava il Lorenzo di Corrado Guzzanti: “Tu non sei una donna, sei de più, sei ‘na modella”.

Ma c’è anche chi, a questi esseri irraggiungibili non pensa proprio. Come Francois Pignon, il protagonista di “Una top model nel mio letto”, che si preoccupa piuttosto di non essere ricambiato dalla bella libraia Emilie (Virginie Ledoyen), di avere un lavoro migliore di quello da parcheggiatore e di non dover condividere più l’appartamento con l’amico Richard.

Va decisamente meglio al miliardario Pierre Levasseure (Daniel Auteil), che da due anni tradisce la moglie con Elena, famosa mannequin d’alto bordo. Di fronte a una foto compromettente, che svela la tresca, i destini dei due uomini si incrociano. Al parcheggiatore, ritratto per sbaglio accanto alla modella, viene chiesto di fingere di esserne il fidanzato e ospitarla a casa propria. Ne nascono, ovviamente, equivoci su equivoci.

Francis Veber, il regista di “La cena dei cretini”, non si smentisce: ancora una volta il tema principale è quello del gioco degli opposti in uno spazio condiviso per forza, e ancora una volta i personaggi più umili sono rappresentati, nella commedia umana, come i meno infelici. Si ride garbatamente, senza inutili volgarità.

barcamp Romagna