domenica 29 ottobre 2006

A scanner darkly

Sguardi acidi

La vita di Philip K.Dick, lo scrittore di culto dalle cui opere sono stati tratti film come Blade Runner e Paycheck, fu profondamente segnata dalle droghe e dalla dissociazione mentale.

"A Scanner Darkly – Un oscuro scrutare", scritto nel 1977, è a suo modo tanto il diario degli effetti della dipendenza da LSD dell'autore statunitense, quanto il testamento del movimento lisergico che tracciò un solco nella cultura pop a cavallo degli anni Sessanta.

Nel romanzo, l’ultimo scritto prima della cosiddetta trilogia mistica, Dick racconta gli effetti della misteriosa e potentissima sostanza “M” (come la morte) sulla psiche di Bob Arctor, un poliziotto infiltrato in una banda di spacciatori.

Per restituirci la sensazione di vivere nel futuro senza ricorrere ad effetti speciali il regista Richard Linklater ha utilizzato nuovamente la tecnica del “rotoscoping” (già sperimentata nel 2001 in “Waking Life”) trasformando le riprese dal vivo di attori come Keanu Reeves, Woody Harrelson e Wynona Ryder in cartoni animati dall’aspetto vagamente bakshiano. Su tutti svetta un personaggio che con la droga ha davvero convissuto pericolosamente: Robert Downey Jr, in una delle migliori interpretazioni della sua carriera.

Il colpo di genio di Linklater è quello di non tradire Dick come i suoi predecessori e di proporre in primo piano la riflessione sull’identità e il controllo sociale che in altri casi – vedi Minority Report – si è dovuta inchinare a una spettacolarizzazione hollywoodiana dal gusto ben più acido.

sabato 21 ottobre 2006

Il Diavolo veste Prada

The city, senza il Sex

Andy Sachs è la tipica ragazza della provincia americana: carina, intelligente, caparbia, e non sa assolutamente nulla di moda. Giunta a New York per inseguire il suo sogno di diventare giornalista finisce a fare l’assistente della potente e insopportabile direttrice di Runway, la bibbia del fashion system. Perderà la sua innocenza?

Se voleva essere un film sul mondo che gira attorno agli stilisti “Il Diavolo veste Prada” trascura tre elementi fondamentali: il sesso, la droga e i disturbi alimentari, che evidentemente al giorno d’oggi sono più “cool” del rock and roll. Se voleva essere un film su quanto può essere infame un capoufficio, invece, qualsiasi impiegato di banca può raccontare esperienze assai più allucinanti.

Togliete anche la meravigliosa voce originale di Meryl Streep, che nella versione originale è liquida come la panna acida, e vi rimarrà una commedia leggera, innocua e un po’ moralista, su quanto sia importante essere se stessi in ogni situazione.

Non ho letto il libro di Lauren Weisberger da cui è tratta la pellicola, per cui non posso fare confronti. Sicuramente posso consigliare il film alle irriducibili di Sex and the City, in cui ha lungamente lavorato il regista, David Frankel.

barcamp Romagna