lunedì 26 febbraio 2007

Borat

Cosa sai tu del Kazakhstan?

La comicità demenziale, quando è ben fatta, ha una caratteristica: apre squarci nella realtà, rovescia le prospettive, sospende il giudizio della mente come nemmeno un Gourdjeff avrebbe saputo fare. Chi non ricorda la scena della hostess con la chitarra nell'Aereo più pazzo del mondo? Vale venti sermoni di Osho, almeno.

D'altro canto, in un genere di pura exploitation, è facile cadere nella volgarità fine a se stessa, e non è che per forza si debba dare nobiltà teorica a ciò che nasce esclusivamente per fare soldi.

Ora, da che parte sta "Borat"? Questo finto documentario a basso budget (sottotitolo: Studio culturale dell'America a beneficio della Gloriosa Nazione del Kazakhstan, ma la traduzione non rende fede allo sgrammaticato originale) è prima di tutto un film disgustoso, in grado di mettere in imbarazzo chiunque. Non c'è tema, situazione o parola oscena che Sacha Baron Cohen, il comico inglese che dà vita al personaggio, risparmi al pubblico nella lunga sequela di candid camera che costella il suo viaggio negli Stati Uniti.

Borat è razzista, antisemita (ma Baron Cohen è ebreo), sessista, tragicamente sboccato, e trae il peggio da ogni persona che intervista nel tentativo di mandare in corto circuito i meccanismi del "politically correct". Detto questo, ci sono due modi per vedere il film. Il primo è lasciarsi trascinare nel meccanismo coprolalico, spegnendo il cervello e abbandonandosi ai lazzi. Il secondo è di provare a lasciare perdere l'offensiva volgarità, con la consapevolezza che in realtà è Borat, dall'altra parte dello schermo, a ridere di noi. In fin dei conti, cosa sappiamo noi, del Kazakhstan?

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barcamp Romagna