domenica 7 gennaio 2007

Giù per il tubo (Flushed Away)


Forma e sostanza

Il mondo dell'animazione è ormai diviso in due. Da un lato c'è chi rimpiange i bei vecchi tempi in due dimensioni, patrimonio di Dumbo, Biancaneve, ma anche di classici moderni come il Re Leone, espressione, si dice, di artigianalità e sentimenti più “umani” Dall'altro ci sono circa sei miliardi di abitanti del pianeta ormai assuefatti alle meraviglie digitali di Shrek e affini. A mettere tutti d'accordo, finora, c'era solo lo studio inglese Aardman, divenuto famoso per la serie di Wallace e Gromitt e per molti altri piccoli miracoli di plastilina interamente realizzati a mano, fotogramma per fotogramma.

Ora anche Aardman ha ceduto alle lusinghe dei pixel e da un lato ciò rappresenta una delusione, dall'altro una sorpresa. “Giù per il tubo”, infatti, è l'opera meno visiva di Nick Park e soci. I computer di Dreamworks, per quanto onnipotenti, non consentono ancora lo stesso impatto del passo uno, tecnica che ha l'età di Méliès e che ha consentito alla “Maledizione del coniglio mannaro” di vincere un Oscar. Allo stesso tempo “Giù per il tubo” è un film molto, molto divertente, ricco dello stesso humour surreale e tipicamente british che abbonda nei precedenti lavori della casa.

Conclusione? La forma non è sostanza: apprenderla significa seguire la via per un significato. Aardman, come un vecchio maestro di arti marziali, può permettersi di trascenderla. Sono in pochi.

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