The interpreter
Era dai tempi di “La mia Africa” che Sidney Pollack non frequentava i misteri e le malìe del continente nero. Anche “The interpreter”, il suo nuovo film, ha al centro la passione di una donna bianca per quelle terre, ma la storia è ambientata per la maggior parte nei corridoi e nelle sale del palazzo delle Nazioni Unite di New York, visto per la prima volta al cinema nei suoi interni originali.
Nel film Nicole Kidman è Silvia, bionda traduttrice con il doppio passaporto africano e statunitense, una delle poche persone al mondo a conoscere la lingua dell’immaginario staterello del Matabo. La nazione è governata dal dittatore Zuwanie, trasformatosi da benefattore a persecutore del proprio popolo. Un giorno, dalla sua cabina, Silvia ascolta per caso il piano per uccidere Zuwanie durante il discorso che dovrà tenere di fronte all’assemblea dei delegati. Da qui si dipana una storia di pericoli e minacce, sulle tracce di un passato doloroso che nemmeno l’agente dei servizi segreti mandato a sorvegliarla – interpretato dal divo del cinema “contro” americano Sean Penn – sembra in grado di poter neutralizzare.
“The interpreter” è un buon thriller politico, un po’ vecchia maniera, in cui non mancano i momenti spettacolari e i colpi di scena. Pollack – che negli anni Settanta firmò un capolavoro del genere come “I tre giorni del Condor” - è forse lontano dalla forma dei giorni migliori, ma ha il merito di ricordare al mondo occidentale che l’Onu, e non un campo di battaglia, dovrebbe essere il luogo deputato alla risoluzione delle controversie internazionali.
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