domenica 21 maggio 2006

Il Codice Da Vinci

Dietro al complotto

Quando avevo sei anni, ed ero un bambino interista, quindi per definizione infelice, mia madre mi consolava dicendomi che il campionato di calcio era una gigantesca truffa: una messa in scena che serviva per impedire al cervello della gente di funzionare, e per far vendere più macchine orribili.
La cosa mi faceva infuriare: per un bambino interista di sei anni, vessato da chi nella vita ha sempre e solo vinto, non c’è niente di peggio che mettere in discussione il proprio desiderio di riscatto. Oggi che si scopre che la serie A è più o meno da sempre una pantomima, quanto il wrestling, che almeno non si nasconde dietro all’ideologia sportiva, mi tocca dirlo: mia madre aveva ragione.
Per questo non mi unisco all’accanimento generale dei critici verso il Codice Da Vinci, che da brutto libro si è trasformato in un thriller mediocre, sebbene di grandi mezzi. L’idea forte alla base del romanzo di Dan Brown – trasposto in pellicola con un cast stellare da Ron Howard - è che Gesù fosse sposato con Maria Maddalena e da lei avesse avuto una progenie. Un gigantesco complotto dell’Opus Dei avrebbe insabbiato il tutto. Sono idee scioccarelle e non nuove, già stroncate dai teologi di professione, oltre che da Umberto Eco e tanti altri studiosi laici. Eppure, se sono bastate a mettere in discussione la fede di milioni di persone, si potrebbe sospettare che anche in questa sorta di campionato il collegio arbitrale appaia ai più vetusto, stantio, di parte. E che le regole non siano uguali per tutti.

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